Andrea è il CTO di T-Consulting ed è anche padre di 3 bimbi.
A partire dalla fine di febbraio nella nostra Regione (l’Emilia-Romagna) si è deciso per la chiusura delle scuole, quindi Andrea ha dovuto subito rispondere con le misure lavorative adeguate.
La “fortuna” di Andrea, oltre a quella di essere CTO di un’azienda tecnologica (e quindi un po’ smart di default) è anche quella di essere responsabile delle tecnologie di collaboration e smart working.
Era il lontano 2007 quando Andrea ha iniziato la sua specializzazione nella conoscenza di soluzioni che spaziano dal Voip, alla gestione documentale smart e alla collaborazione a distanza.
Nonostante non sia un millennial (ci perdona di sicuro la battuta!) potrebbe in pratica lavorare da qualsiasi punto del mondo, solo con il suo Surface e una connessione a internet.
Sembra trascorso un secolo da quella fine di febbraio e quella che poteva apparire come una soluzione temporanea per pochi, è diventata l’ancora di salvezza per molti.
Tante aziende hanno visto nello “smart-working” l’unica soluzione per mantenersi operative: anche le aziende i cui codici Ateco non solo elencati tra quelli “essenziali” hanno potuto mettere in campo questa misura.
Concordiamo tutti che la salute dei nostri collaboratori è e deve essere la priorità n.1 di ogni azienda e siamo altresì convinti che con la giusta tecnologia non ci sia bisogno di scegliere tra azienda operativa e azienda sicura.
Senza voler ripetere il concetto ormai trito de “I tempi che corrono” e “in questo momento particolare” guardiamo in faccia la realtà: le aziende italiane devono restare operative senza mettere in pericolo la salute dei propri collaboratori, e questa situazione resterà tale ancora a lungo.
Questa riflessione mi ha ispirato nel chiedere ad Andrea di fare luce sulla tematica “smart working”.
Smart Working vuol dire solo lavorare “non in ufficio”? È davvero possibile passare da lavoro tradizionale ad agile in una manciata di ore? Quali sono i prerequisiti organizzativi per questo passaggio?
Andrea, ci aiuta a far luce su tutto questo.
La differenza principale è scritta proprio nella definizione, nel riferimento del luogo fisico: uno smartworker non è un utente che lavora da remoto, ma è semplicemente un utente che “lavora” senza essere legato al luogo o alla modalità con cui lo fa. Ha a disposizione gli strumenti e soprattutto l’assetto operativo. Lavorare in modalità smart-working non deve essere visto come un modo eccezionale di lavorare da un posto diverso da quello abituale, ma piuttosto come una caratteristica del modo di lavorare.
Gli strumenti che utilizziamo “anche da ufficio” da tanto tempo mi permettono da tenere i contatti in maniera facile: una chiamata può diventare una riunione, o una videochiamata o una video riunione…le console di gestione, di monitoraggio, di gestione dell’help desk, etc.…sono tutti utilizzabili tramite un browser da qualsiasi location, nelle medesime funzionalità.
Lo step iniziale più importante che non tutti hanno seguito o su cui non tutti erano pronti è stato quello legato alla Cybersecurity: occorre sempre fare una valutazione dei rischi, qualsiasi soluzione venga messa in pratica e a prescindere dall’emergenza che si sta vivendo.
So di tanti casi in cui alcuni colleghi di altre aziende hanno accettato di aprire canali VPN per dare accesso agli utenti che utilizzano Client personali (senza antivirus, senza firewall) ad esempio… Questa è una minaccia molto forte alla sicurezza dei dati e dell’azienda stessa.
Capisco che la tentazione di dare una risposta immediata sia stata forte, ma non possiamo mettere a rischio il lavoro di decenni in una manciata di giorni. Dobbiamo sempre ricordare che il device personale sfugge al controllo dell’IT e per questo può diventare fonte o causa di data breach e di attacchi.
Sì, mi sento di dire che la cosa importante è definire bene quali strumenti deve avere il collaboratore “smart” e istruirlo all’utilizzo, o meglio più che istruirlo, renderlo conscio del fatto che oggi è smart non in via eccezionale.
I dipendenti che lavorano in modalità smart devono avere assolutamente strumenti sicuri, senza deroghe, devono essere in sicurezza, devono essere istruiti alla cybersecurity e alla disciplina operativa che questa modalità, apparentemente nuova, richiede.
Consiglio alle aziende di “mettere giù” un piano di smartwork, preciso, facile da applicare ma soprattutto sicuro.
Ne voglio citare 4…se non sono troppe:
Faccio riferimento alle aziende che già affianchiamo, e direi certamente:
Grazie a te Vera e buon Smart-Working!
A conferma di quanto sia importante dotarsi dei giusti mezzi per portare avanti le attività in modalità smartworking anche il CSIRT (l’agenzia nazionale dedicata al monitoraggio della cybersecurity) ha elaborato una lista di applicazioni tecnologiche che le aziende dovrebbero adottare il prima possibile: fra queste c’è la Multi Factor Autentication (MFA). Per capire meglio in cosa consiste scarica il T – book Security Edition e scopri come dotarti di una soluzione MFA faccia la differenza nella protezione dei dati della tua azienda.
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